Diceva Italo Calvino: l’arte di scrivere storiesta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto: ma finita la pagina si riprende la vita e ci s’ accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla.
Mi fa piacere vedere Aldo Del Gratta che – raggiunta l’età della pensione – si stia cimentando in questo esercizio. Arricchendo di un nuovo libro il “racconto” di uomini in divisa che – a 172 anni dalla fondazione della Polizia – continuano ad esercitare un certo fascino anche tra le nuove generazioni.
Grazie all’amico Stefano Mecenate che ha aperto la sua casa editrice anche a chi lo scrittore non lo fa di mestiere, per accompagnarli in questa bellissima arte.
La storia del commissario di polizia Emanuele Rinaldi raccontata in questo romanzo suscita in me mille pensieri. Ne dirò solo quattro: il valore della sofferenza / soffrire diceva Gemma Galgani – insegna ad amare. L’importanza della trasmissione. Il rapporto tra sogno, tra speranza e realtà. Il rapporto tra fedeltà e coscienza.
Il primo: Emanuele Rinaldi è ricoverato in ospedale dopo un conflitto a fuoco con dei rapinatori. Ed è qui che comincia a parlare al figlio che lo veglia al capezzale. Quante volte la sofferenza e la paura stimolano l’uomo a ripensare a sé stesso, a rivedere il suo passato. E non sempre il giudizio su sé stesso è esaltante. In questi mesi ho avuto modo di parlare più volte con don Luca Casarosa, al servizio h 24 dei ricoverati nell’ospedale di Cisanello. Raccogliendo la testimonianza di chi con empatia si è avvicinato a centinaia di ricoverati – spesso soli, almeno nel periodo del Covid – che nella debolezza, hanno rivisto la loro vita, avviando in diversi casi un percorso di conversione che poi hanno proseguito una volta dimessi a casa.
Il secondo: l’importanza della trasmissione tra le generazioni. Faccio parte della cosiddetta generazione sandwich, sperimentando il rapporto con i genitori e con i figli da accudire. Ricevo saggezza. E cerco di trasmetterne, insieme alla esperienza di vita. Il commissario Rinaldi sente il desiderio di trasmettere quei valori – l’amicizia, l’amore, la gratitudine, il perdono, il rispetto – da lui incarnati durante l’esistenza. Quasi un voler lasciare un testimone a chi, in quel momento, gli sta vicino.
Il terzo: il sogno e la realtà. Il commissario Emanuele Rinaldi ha sperimentato, nella sua esistenza, una realtà che spesso si è mostrata lontana da ciò che sperava. E allora la sola divisa – come mille altre divise – che l’aveva attirato da giovanissimo, non basta più. Anche se resta motivo di orgoglio.
ANDREA BERNARDINI – Redattore TOSCANA OGGI